Pubblicato in: Alimentazione sana

Il sale fa male? Gli studi non l’hanno ancora confermato

di linda 31 luglio 2012

In Italia il consumo medio di sale è circa il doppio di quello raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Gli uomini mediamente consumano ogni giorno 10,9 grammi di cloruro di sodio e le donne 8,6 grammi mentre la dose consigliata dall’OMS sarebbe non oltre i 5 grammi e non sotto i 2. Sono diversi gli studi che analizzano i rischi legati al consumo elevato di sodio, soprattutto in relazione alle malattie cardio e cerebrovascolari, alle malattie renali croniche e in altre malattie cronico-degenerative.

Contrariamente a quello che siamo portati a credere molte ricerche non sono in grado di provare che una riduzione nel consumo di sale abbassi il rischio di malattie cardiovascolari e faccia realmente bene alla salute nel lungo periodo.

Questo almeno è il risultato dello studio condotto da Rod Taylor, esperto di Health Services Research presso l’Università di Exeter e colleghi per Cochrane Collaboration, famosa per le sue revisioni alle migliori ricerche in ambito medico, su 6.500 ricerche svolte tra il 1950 e il 2011. Lo studio, pubblicato dall’American Journal of Hypertension qualche tempo fa, ha analizzato le pubblicazione più affidabili che mettevano in correlazione l’apporto quotidiano di cloruro di sodio, la mortalità e le complicazioni cardiovascolari. Il risultato è che nessuno studio può dimostrare con certezza che nel lungo periodo, in minor apporto di sale nella dieta, possa portare ad una riduzione della mortalità.

I risultati di uno studio condotto all’Exeter University andrebbero anche oltre: eliminare del tutto il sale dalla dieta non metterebbe la persona al sicuro da infarti o ictus. Se questa continua a fumare e fare una vita sedentaria, la percentuale di rischio di avere problemi cardiaci non cambia con un po’ di sale in più. Secondo questa ricerca, poi, chi già ha problemi di ipertensione potrebbe aggravarli eliminando del tutto il sale dalla propria dieta.

Lo studio europeo Flemengho e Epogh, pubblicato su Jama (The Journal of the American Medical Association) a maggio 2011 mette in discussione le attuali raccomandazioni per una riduzione del consumo di sale a livello di popolazione. I dati dell’indagine sottolineano come la pressione sistolica, e non la diastolica, è associata all’escrezione di sodio e questa associazione non si accompagna a un maggior rischio di ipertensione, né di malattie cardiovascolari. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention-Atlanta e l’European Heart Network però il numero di persone prese in considerazione nello  –  3.681 – non sono sufficienti per dare risultati significativi.

In Italia è, invece, partito il progetto Minisal-Gircsi che si pone come obbiettivo quello di ottenere informazioni attendibili sul consumo medio pro-capite di sodio, potassio e iodio nella popolazione italiana su base regionale, per classi di età e in relazione alla presenza di ipertensione arteriosa. Il progetto Minisal-Gircsi è coordinato dal dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell’Università Federico II di Napoli ma vi partecipa anche l’Istituto Superiore di Sanità, l’istituto Nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Inran), l’Università Cattolica di Campobasso, la Fondazione per l’ipertensione arteriosa, la Clinica pediatrica dell’Università di Foggia e il Girsci (Gruppo di lavoro intersocietario per la riduzione del consumo di sale in Italia). Per ora i test hanno riguardato 3mila uomini e donne in 15 regioni italiane. I dati mostrano un consumo medio giornaliero di sale maggiore tra gli uomini che tra le donne e valori maggiori di consumo nel Sud Italia rispetto che nel Nord. Ciò è in accordo con la distribuzione riscontrata per macroaree della pressione arteriosa, con la frequenza dell’ipertensione nella popolazione generale, e con la distribuzione dell’obesità e del peso corporeo.

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